Istruiti ma senza lavoro: il dramma esistenziale dei giovani

“Il senso di essere utile e persino indispensabile, sono bisogni vitali dell’anima umana”. Rileggendo questa frase della filosofa francese Simone Weil, è impossibile non pensare alle giovani generazioni e in particolare alle difficoltà che, ormai da oltre dieci anni, stanno affrontando nel trovare un impiego consono ad attitudini, capacità, talenti e formazione, con il rischio di sperimentarsi inutili e poco importanti.

Crisi economica e complessità burocratica contribuiscono ad impedire ai giovani fra i 23 e i 35 anni – specialmente i più formati e istruiti – di approcciarsi al mondo del lavoro trovando opportunità in linea con il proprio percorso di studi. Nella migliore delle ipotesi sono costretti a piegarsi a degli impieghi di fortuna, adattandosi al già dato, a quanto impone l’economia di mercato, costruita sulle basi performative della produzione e del profitto, dalle quali sono quasi completamente esclusi gli investimenti in ambito sociale, educativo e culturale in senso ampio.

Superfluo, qui, sottolineare quanto poco il nostro paese e le nostre istituzioni abbiano investito in questi ambiti, penalizzando così un’intera generazione che agli studi umanistici si è dedicata con passione e convinzione. Ancor più sconcertante il fatto che questo sia accaduto e continui ad accadere in un paese, come l’Italia, culla di civiltà e, per secoli, propulsore principale di movimenti artistici, letterari, musicali e filosofici che hanno segnato in maniera indelebile la nostra storia e la nostra inesauribile bellezza. Questa contraddizione che attraversa come una lama il presente del nostro paese, già sta segnandone in maniera negativa il futuro. Non è un segreto, molti giovani preferiscono virare verso mete estere dove le competenze vengono adeguatamente riconosciute e retribuite e questo finisce, inevitabilmente, per dissipare gli investimenti in formazione di stato e famiglie italiane, contribuendo ad arricchire il bacino di competenze, crescita e sviluppo delle altre nazioni. A questo si aggiunge il fatto che la maggior parte dei “cervelli in fuga” non investe in Italia ma nel paese nel quale si stanzia per lavoro, costruendo lì la propria vita e la propria rete relazionale. Al contempo, quanti rimangono in patria, per lo più costretti ad impieghi precari e pagati il minimo salariale, vivono in un orizzonte di incertezza e demotivazione. Per loro il futuro non si configura più come una promessa ma piuttosto come una minaccia. Il presente non li convoca e il futuro non li motiva. In un simile orizzonte trionfa facilmente la moda del life is now, vivi adesso, vivi il presente: una modalità di vita perversamente sfruttata dal mercato che per il profitto induce a consumare, in un “eterno presente”, financo le proprie vite e le relazioni pur di non trarne guadagno. Vivi l’oggi, perché non puoi progettare il tuo domani, non ne hai le basi, non ne hai le minime garanzie. Su questo paradigma inevitabilmente dilaga un vuoto esistenziale che può condurre a perdere il sentimento della vita. Come sostenuto da Weil, l’essere umano ha bisogno di sentirsi utile e, aggiungiamo, è fatto per progettare. Egli può inondare di senso la propria vita finché mantiene una visuale nel futuro, sintantoché può proiettarsi in avanti. Qualora questo non avvenga le esistenze si raggrumano, si chiudono in un deserto esistenziale non privo di conseguenze psicologiche e spirituali anche gravi. Aggressività, dipendenze e depressione sono gli esiti tragicamente più evidenti di una siffatta condizione.

Ecco quindi la necessità che vengano operate scelte politiche e istituzionali coraggiose, al fine di promuovere possibilità e occasioni di lavoro consone alle giovani generazioni, in particolare le più formate e spesso le più penalizzate da un sistema incapace di investire adeguatamente e con fiducia sulle loro abilità e competenze. Una politica che non pone la propria attenzione a questa situazione, ormai d’emergenza, è una politica che non ha a cuore il futuro del proprio paese. Non mettendo un freno a questa crisi giovanile strisciante, il rischio, già in corso, è quello di perdere il patrimonio di un’intera generazione e con esso l’avvenire del Bel Paese.

Articolo pubblicato in data 9 luglio 2020 sul settimanale L’Azione

Lascia un commento

*