Schiacciati dalla “performance”: il disagio esistenziale dei giovani

Ha avuto molta risonanza il suicidio della studentessa universitaria di 19 anni trovata morta in un bagno dell’università Iulm a Milano lo scorso primo febbraio. Iscritta al primo anno del corso di laurea in Arti e turismo ha lasciato un biglietto nel quale si scusa con i genitori per la decisione e riconduce le motivazioni del gesto estremo a questioni personali legate in particolare al tema sensibile del fallimento individuale. La notizia è stata recentemente ripresa anche da Emma Ruzzon – presidente degli studenti dell’università di Padova – che, in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno accademico dell’ateneo patavino, ha parlato di una narrazione tossica in cui viene esaltata la retorica dell’eccellenza che sottopone gli studenti e le studentesse ad una competizione sfrenata.

Il dolore indicibile che eventi simili portano con sé deve essere custodito da un silenzio rispettoso e capace di arrestarsi dinanzi al mistero insondabile della morte volontaria. D’altro canto, intorno al tragico accaduto si devono aprire seri spazi di confronto e riflessione che indaghino più a fondo le difficoltà di una generazione attraversata da un immenso disagio esistenziale.

La generazione alla quale questa giovane ragazza apparteneva è una generazione fragile che si sta aprendo al mondo adulto della vita con le scelte decisive del lavoro o della prosecuzione degli studi e che, oltre alle normali preoccupazioni legate a queste scelte esistenziali, è attraversata da un abissale senso di incertezza legato ad un futuro indeterminato non più percepito come promessa ma come minaccia. Coloro che si occupano di relazione d’aiuto sanno quanto pandemia, guerre, instabilità economica, disoccupazione crescente, mancato riconoscimento professionale dei titoli di studio, stipendi inadeguati e crisi ecologica incidano sulla percezione giovanile del futuro. Un avvenire che si raggruma su uno sterile presentismo che alla lunga lascia delusi. Eppure, l’uomo che perde l’idea di futuro rischia di smarrirsi, di spegnersi spiritualmente. Perdendo di vista il futuro, anche solo un pezzo di futuro che lo attende, l’individuo può perdere il significato della propria esistenza precipitando in un abissale vuoto interiore.

Su questo scenario di crisi e indeterminatezza, che rende difficile costruire nel presente il proprio futuro, si staglia un aumento crescente dell’ideale performativo. Questo mito che pervade il mondo del lavoro e delle relazioni distorce l’essenza dell’umano, piega l’esistenza ad un paradigma efficientistico, per cui va bene solo ciò che è utile ed è funzionale al sistema tecnico e finanziario. Così, risulta adatto solo colui o colei che resiste a pretese e pressioni che aumentano esponenzialmente finendo per far sentire inadeguati al sistema un numero sempre maggiore di persone. È in questo particolare orizzonte che si fa strada il senso del fallimento poiché in tale sistema il valore dell’umano sembra identificarsi esclusivamente con la dimensione dell’homo faber. In questo modo viene stralciata la dimensione dell’essere, la dignità dell’umano che precede e sopravvive alla dimensione puramente operativa.

I tragici eventi che coinvolgono il mondo giovanile segnalano un bisogno estremo di ascolto da parte della comunità degli adulti. Un ascolto attivo, empatico, capace di scorgere dietro al pianto e al grido di dolore il bisogno giovanile di sentirsi riconosciuti come adeguati, ricchi di risorse interiori per far fronte alle sfide della vita e capaci, nonostante tutto, di incidere nella propria esistenza. Per fare questo, adolescenti e giovani hanno bisogno di sentire la fiducia del mondo adulto nelle loro potenzialità. Una fiducia dalla quale può conseguire un autentico senso di responsabilità nel dare forma a sé stessi. In questa direzione, oltre il paradigma omologante tipico del nostro tempo, è importante fargli sentire la loro insostituibilità nel rispondere alle domande che la vita gli pone.

Per scongiurare tragedie simili a quelle citate in apertura è necessario inoltre invitare adolescenti e giovani ad esprimere la propria sofferenza senza timore chiedendo aiuto a educatori e professionisti. Tale richiesta non va connotata come un segno di debolezza bensì come il coraggio nel prendersi cura di sé per trasformare le proprie fatiche in opportunità di crescita e maturazione interiore così da far fronte alle delicate e complesse sfide dell’esistenza.

 

Articolo pubblicato sul settimanale L’Azione in data 23 febbraio 2023.

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