Tra violenza, aggressività e potere

Il tempo presente, come evidenziano le cronache quotidiane, è segnato dalla cifra tragica dell’aggressività denominatore comune di molte manifestazioni umane. Analizzando la realtà sociale e relazionale degli abitatori di quest’epoca non è possibile non notare come essa si caratterizzi per una quantità crescente di violenza distruttiva diretta verso gli altri e talora verso sé stessi. Femminicidi, infanticidi, violenze domestiche e scolastiche, suicidi, episodi di bullismo nelle sue diverse declinazioni, abusi fisici e psicologici. Espressioni di una drammatica emergenza psicologica, di un dilagante vuoto esistenziale, di un declino educativo e culturale che si estende in proporzione sino a condurre alle ingiustificabili e inaccettabili guerre che travagliano il mondo intero con sangue innocente e incolpevole.

 

Il potere come patologia

 

Sono gli esiti di una patologia sotterranea che attraversa come una corrente carsica l’essere umano: il potere con la sua volontà di imporsi e di soggiogare. Il potere, malattia sociale, trova terreno fertile nell’egoismo, patologia individuale, che spinge a rapportarsi agli altri come semplici mezzi in vista dei propri fini. Nel culto dell’Io, l’altro viene percepito come strumento di cui disporre a piacimento venendo così privato della sua umanità, per essenza portatrice di valore. L’egocentrismo disintegra le relazioni, frantuma i legami sociali e annulla la convivenza umana.

 

È a rischio l’umano nell’uomo

 

Così, nell’essere umano regrediscono le funzioni superiori. La razionalità, la consapevolezza di sé, la risonanza emotiva e cognitiva delle proprie azioni, la capacità empatica di sentire e percepire l’altro come persona, stanno venendo meno. L’altro è percepito come un nemico da combattere e eliminare in quanto ostacolo alla realizzazione del proprio desiderio di godimento che si declina nella fame di potere, prestigio e ricchezza. In tal senso l’altro non viene riconosciuto come soggetto ma viene ridotto a oggetto. Ci troviamo dinanzi ad una vera e propria regressione antropologica che evidenzia il disagio della nostra civiltà e l’evaporazione dei fondamenti etici della nostra cultura: il basilare diritto alla vita e la sacralità dell’altro da noi, dai quali consegue il rispetto per l’esistenza e l’impegno affinché l’altro possa farla sbocciare.

 

Ripartire da educazione e cultura

 

Dinanzi alle tenebre dell’involuzione antropologica è fondamentale recuperare i fondamenti etici e culturali che ci precedono e che non sono mai garantiti una volta per tutte. Infatti, mentre istinti e pulsioni sono legati alla nostra corporeità, la cultura e il vivere civile sono conquiste umane che appartengono al patrimonio educativo. Per questo, la salvaguardia di tali dimensioni passa attraverso un’infaticabile opera educativa e culturale che contrapponga alla parola Io e alla patologia del potere che ad esso si lega, la parola Noi. Un orizzonte dove venga tutelata la fragilità che ci abita e l’apertura all’altro e ai legami non per servirsene ma per consentire reciprocamente all’esistenza di fiorire nelle sue possibilità più proprie e questo può avvenire solamente in un contesto che promuova la crescita di ciascuno in un panorama relazionale.

 

Articolo pubblicato sul quadrimestrale di Banca della Marca  Insieme con fiducia – n°93 2024.

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