Educare alla vita: il ruolo e le responsabilità dei genitori

La fragilità di adolescenti e giovani è una peculiarità sempre più evidente nel tempo presente. Ne è testimonianza il recente dibattito sugli esami di maturità sul quale, tuttavia, non si intende qui intervenire direttamente.

Al netto dei recenti confronti, insegnanti, educatori, consulenti e psicologi rilevano la crescita esponenziale della fragilità giovanile. Se da un lato la fragilità è un costitutivo essenziale dell’essere umano, una cifra che ci rende ciò che siamo, dall’altro la vulnerabilità che si riscontra nella tarda età evolutiva sembra eccedere i confini di tale fragilità per sfociare in una debolezza profonda che riguarda non solo se stessi ma più marcatamente la capacità concreta di far fronte alla vita nella sua complessità.

Non si tratta di essere sempre pronti a quanto la vita, spesso spiacevolmente, ci presenta. Non si tratta nemmeno di sapere sempre cosa fare, come muoversi o come gestire le diverse situazioni, quanto piuttosto di crescere strutturandosi, emotivamente e cognitivamente, per far fronte alla vita stessa, sapendo che si hanno le risorse per poter affrontare frangenti che possono essere faticosi, dolorosi, avversi. Questo può avvenire solamente se nell’età evolutiva, a partire dalla famiglia, si “allenano” i figli alla vita. Ciò significa anzitutto ascoltarli, quindi aiutarli a sviluppare un sano senso di sé, una profonda capacità empatica e di risonanza emotiva e cognitiva delle azioni compiute, un equilibrato sguardo critico su di sé e sul mondo. È inoltre fondamentale educarli a guardarsi dentro per riconoscere e accettare le proprie ferite e i propri limiti, per scoprire il proprio desiderio, comprendendo ciò che si è e ciò che ci si sente chiamati a realizzare trovando la direzione di senso della propria esistenza.

Diversamente, l’orizzonte educativo contemporaneo, in molti casi, sembra volto in altre direzioni. La crisi di adolescenti e giovani, fra le varie, riflette un profondo smarrimento della generazione adulta e dell’intera comunità educante. La crisi pedagogica sembra innestarsi in un disorientamento del ruolo genitoriale e della correlata funzione educativa.

Ecco che da un lato vogliamo figli forti, ma facciamo di tutto per liberare il loro percorso dagli ostacoli che possono incontrare. Ne sono testimonianza gli insegnanti spesso alle prese con genitori invadenti che si sostituiscono ai figli, evitando che questi si assumano la responsabilità di scelte, comportamenti, rendimento, correndo ai ripari e cercando di offrire loro il paracadute per ogni evenienza. Ugualmente vogliamo che i figli emergano, eccellano nella scuola, nello sport, nella altre attività, ma non insegniamo loro a sbagliare e a cogliere i preziosi insegnamenti esistenziali che ogni errore e ogni scacco portano con sé. Li vogliamo felici ma li mettiamo al riparo da qualsivoglia frustrazione, dai “no” che andrebbero scanditi sin dalla primissima infanzia e senza i quali non è possibile raggiungere una vera libertà e una piena responsabilità.

Si consuma così un maldestro tentativo di evitare loro ogni sorta di frustrazione. Un processo che spesso rimanda all’incapacità adulta di gestire la loro reazione emotiva e che frequentemente segnala la nostra fatica di compiere scelte educative coraggiose, sebbene faticose per noi e per loro, ma basate su una visione di sviluppo integrale. Diversamente da così, cresciamo generazioni che faticano ad accettare un rimprovero o una critica, una delusione, una valutazione negativa, un rifiuto o una sconfitta. In tal modo, appena qualcosa non va come vorrebbero, molti ragazzi si frantumano arrivando – come le cronache testimoniano – persino a fare del male agli altri o a se stessi, perché nessuno ha mai detto loro che il dolore, la sconfitta e la frustrazione fanno parte della vita ma si affrontano in modo proattivo e non si evitano. Pertanto è importante veicolare che dal fallimento si può sempre imparare qualcosa di importante per sé. Analogamente, è indispensabile insegnare loro che il fondamentale diritto esistenziale a realizzarsi e ad avere successo ha però un prezzo che è la fatica – costituita dai numerosi ostacoli che si possono incontrare nel cammino – e che occorre elaborare il coraggio e la caparbietà necessari per affrontarla.

Se non alleniamo a vivere, i nostri figli finiranno per cadere al primo impedimento senza aver sviluppato le competenze e l’esperienza necessarie per rialzarsi e maturare. L’iperprotezione stessa – così diffusa e spesso così contraddittoriamente sbilanciata solo sul fronte reale e molto meno vigile sul fronte virtuale -, finisce per rendere i più giovani incapaci di resistere agli urti della vita. Quando invece, la capacità di resistenza e ripresa sono competenze fondamentali per il percorso di ognuno. Eppure, è proprio permettendo loro di fare esperienza del negativo, del limite e della delusione che li educhiamo a strutturare la personalità allenando la loro capacità di affrontare la vita con le competenze necessarie.

 

Articolo pubblicato sul settimanale L’Azione in data 31 luglio 2025.

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