Una delle cifre fondamentali del nostro tempo è il rumore. Un frastuono assordante che pervade la nostra frenetica quotidianità. Una costante di fondo che, sebbene non se ne sia sempre consapevoli, avvolge ogni attimo delle nostre esistenze.
Parlando di rumore ci riferiamo ad un disturbo di fondo che accompagna le nostre esistenze, che da un lato si declina nei grandi rumori delle città, nelle parole e nei suoni di radio e televisioni, dall’altro lato concerne l’iperconnessione digitale degli abitatori del presente. Una distrazione continua, pervasiva, in costante aumento che parte da tablet e smartphone, prolungamenti bionici dei nostri corpi dai quali fatichiamo sempre più a scollegarci. Si tratta di una vera e propria dipendenza tecnologica dettata dalla paura incontrollata di rimanere sconnessi, in una preoccupante scissione tra mondo reale e mondo virtuale. In questo senso, con lo scrittore e esploratore norvegese Erling Kagge, possiamo affermare che “viviamo nel tempo del rumore” e che “il silenzio è sotto attacco”.
Parole, musica, voci, rumori, immagini incalzanti costituiscono una bulimia crescente di “rumore” di fondo che oltre ad essere favorevole ad un’economia di massa, spesso ha l’obiettivo, inconsapevole per molti di noi, di mettere a tacere il vuoto interiore, la mancanza di senso e di valori che danno significato alla vita e quindi di aggirare il timore di accedere alla propria interiorità più profonda. Forse è per questo che gli abitatori del tempo presente, pur oppressi e inconsapevolmente stressati dal rumore, continuano a preferirlo al silenzio.
Tuttavia, il silenzio si configura come un bisogno umano fondamentale che, al pari degli altri bisogni vitali, necessita di essere riconosciuto e soddisfatto. Nondimeno il silenzio richiede impegno, volontà, coraggio di mettere tra parentesi il rumore travolgente del mondo esterno. Solo così è possibile riprendere un autentico contatto con se stessi, con la propria interiorità, mettendo ordine ai propri pensieri, riconoscendo e orientando i propri stati emotivi. Diversamente da quanto veicolato dalla società ipermondana, l’individuo ha bisogno di chiudere il rumore fuori ricavandosi vere e proprie isole di silenzio. Invero, la dimensione del silenzio è stata da sempre uno dei capisaldi degli esercizi spirituali nella filosofia antica e nelle diverse tradizioni religiose. Una delle vie privilegiate per la conoscenza consapevole di sé, per la relazione con l’Altro e per il senso del mistero che si lega etimologicamente al silenzio.
Diversi sono i luoghi nei quali è possibile sperimentare maggiormente il silenzio, per esempio montagna incontaminata, eremi, biblioteche, monasteri. Tuttavia, il silenzio è anzitutto una dimensione che va riscoperta in se stessi. Il silenzio lo si può ritrovare in ogni momento, proprio qui in questo momento, dentro di noi. Questa possibilità richiede altresì la volontà di assentarsi temporaneamente dal mondo e dal suo frastuono fatto di un bombardamento incessante di stimoli, scadenze, impegni, preoccupazioni, incertezze, inquietudini. Fare silenzio è un paziente esercizio di ascolto interiore. È nel silenzio che possiamo scorgere i contorni della nostra interiorità, ritrovare slanci spirituali e intellettuali, energie creative, progettuali e relazionali, motivazioni esistenziali. In questo senso il silenzio, esperienza del tutto personale, intima, profonda, ha a che fare con la nostra esistenza concreta di cui è risorsa preziosa. Una volta riscoperto, il silenzio diviene una forza, l’opportunità, sempre presente, di rientrare in se stessi come in una fortezza imprendibile.
Certamente, la condizione essenziale per il silenzio è la solitudine. Quest’ultima, da non confondersi con l’isolamento che rinchiude l’individuo in un deserto emotivo e relazionale, è la capacità necessaria per poter fare silenzio. Purtroppo, la capacità di rimanere soli con se stessi è da sempre un problema per l’essere umano. Lo aveva intuito lucidamente Pascal scrivendo: “ho scoperto che tutta l’infelicità degli uomini proviene da una sola cosa: dal non saper restare tranquilli in una camera”.
La solitudine oggi appare come un disagio, una condizione da evitare. Diversamente, la solitudine e il silenzio che ne consegue sono i custodi dei più preziosi valori umani. Il silenzio che emerge dalla solitudine si stacca nettamente dalla mentalità dominante, dalla superficialità e richiama la nostra attenzione a quanto stiamo pensando e agendo. Riporta la concentrazione ad ogni piccolo gesto, ad ogni azione che compiamo anche nelle più semplici azioni quotidiane. Il silenzio ci porta dentro noi stessi, invoca l’attenzione al momento presente e la cura gentile per la relazione con l’altro. Così, il silenzio rivela tutto il suo valore spirituale, psicologico e relazionale. Se dunque, il rumore riduce significativamente la qualità del vivere, il silenzio è una possibilità per recuperare la cura di una vita autentica, consapevole e ricca di significato.
Alessandro Tonon
Articolo pubblicato dal settimanale L’Azione in data 13 febbraio 2025.
Gentile professore, la ringrazio sinceramente per averci ricordato l’importanza del silenzio con queste semplici, ma profonde parole.
Eppure vorrei tralasciare per un momento il discorso dell’invasione assordante della tecnologia nel nostro presente per dedicarmi a una riflessione su un secondo tipo di rumore che attanaglia le nostre vite.
Sono sicuro che molti (sia adulti sia giovani) hanno una chiara consapevolezza di quanta virtù risieda nel silenzio, essendo questa dimensione – come Lei saggiamente scrive – un bisogno essenziale di ogni essere umano. Eppure troppo spesso si tende a procrastinare il momento dell’interiorità e dell’introspezione per lasciare la priorità al lavoro, allo studio e alla frenesia che viene richiesto dalla società contemporanea. Il timore di “non farcela”, di non essere all’altezza, di non soddisfare le aspettative (che sia ha di se stessi e che gli altri hanno di noi) o di “essere sempre un passo indietro” sono altresì sufficienti a rimandare a un secondo momento lo spazio che si vuole dedicare esclusivamente al proprio IO interiore.
E così facendo finiamo per trascurare completamente il valore del silenzio, della solitudine, del ritornare a e in sé stessi. Ci dimentichiamo del significato di questi due vocaboli, “silenzio” e “solitudine”, e cadiamo nell’errore di attribuire loro un significato di pura negatività.
Nondimeno, la chiave per raggiungere i nostri obiettivi e realizzare se stessi, in fin dei conti, sta proprio in questo: rallentare, allontanare per un momento questo rumore di fondo e godere della contemplazione lucida del tempo presente. Il beneficio che se ne trae è incommensurabile.
E non solo, poiché agire per primi in questa direzione significa anche rendersi esempio per gli altri. La visione solare, affermata e realizzata che abbiamo dell’altro quasi sempre cela con la maschera del sorriso gli stessi demoni interiori che percepiamo individualmente.
In tal senso, ricordare al prossimo, non tanto attraverso la parola, quanto mediante il gesto, la necessità della quiete può innescare una reazione a catena che va a favore delle sane relazioni interpersonali che ci rendono esseri umani.
Insomma, come le pause e i silenzi rappresentano elementi fondanti dell’armonia musicale, così contribuiscono a definire quella sinfonia che è la nostra vita.