La prigione dell’isolamento

La poetessa Emily Dickinson scriveva: “Forse sarei più sola senza la mia solitudine”, sigillando così il significato umano e il valore esistenziale della solitudine. Quest’ultima è custode di valori creativi, di slanci intellettuali, psicologici, relazionali e spirituali che ci portano ad aprirci al mondo in modo autentico. Invero, la capacità di saper stare soli è occasione di conoscenza e cura di sé, rinnovamento interiore e opportunità di generare relazioni feconde fondate su empatia e riconoscimento reciproco. La solitudine si configura come possibilità sempre presente e in quanto tale come scelta autonoma del singolo che decide di intraprendere un viaggio dentro se stesso, riflettendo sulla propria esistenza.

Diversamente, nel nostro tempo, ipermoderno e iperdigitalizzato, sta aumentando la piaga dell’isolamento, dimensione opposta a quella generativa della solitudine. Mentre la solitudine, importante risorsa umana, è via regia verso la propria sorgente interiore alla quale è sempre possibile attingere, l’isolamento arresta come una diga il corso dell’esistenza ostruendone le sorgenti.

L’isolamento è dunque l’espressione di un diffuso disagio psicologico e relazionale, sociale e culturale che conduce al deserto emozionale, alla chiusura in se stessi, fino al disinteresse per il mondo, per l’altro da sé e, nei casi più estremi e delicati, per la propria esistenza. Differentemente dalla solitudine, l’isolamento si configura non tanto come una scelta attiva da parte del soggetto, quanto piuttosto come una condizione subita, una caduta dell’esistenza che rischia di naufragare. È una cifra tragica del nostro tempo, presente in modo rilevante già prima del trauma pandemico ma amplificata dallo stesso. L’isolamento miete vittime soprattutto nell’età dello sviluppo e nella stagione della vecchiaia. Nel primo caso si declina nella rinuncia scolastica, nell’evitamento degli incontri con i pari o di situazioni temute, per giungere al ritiro sociale. Negli anziani si esprime nell’esasperazione del senso di abbandono e di inutilità, di ritiro dalla comunità e persino dalla vita stessa che rischia di precipitare verso una morte anticipata.

Alla base dell’isolamento individuale vi sono insicurezza, paura, senso di inadeguatezza, paura del presente e percezione del futuro come minaccia. Componenti che prosperano in una società altamente performativa, tesa alla realizzazione individuale misurata attraverso la cifra del profitto e il conseguente prestigio tributato a chi quel guadagno lo consegue dando prova di essere un individuo che si fa da sé. Un individuo che più che esistere “funziona” omologandosi ai ritmi prestazionali imposti dal discorso economico e sociale dominante.

Ecco che l’isolamento diviene, prima, via di fuga da un’esistenza concorrenziale, riparo da un gioco diabolico che misura l’esistenza sulla base del successo nella gara spietata del mercato e quindi prigione poiché spezza i legami tra l’individuo e il mondo. L’isolamento è una ferita aperta del nostro tempo che, se da un lato colpisce le fasce sociali sopra menzionate, dall’altro coinvolge indirettamente anche coloro che nella spirale euforica e iperproduttiva consacrano la loro esistenza al lavoro rinunciando a costruire relazioni stabili, esperienze profonde e dense di significato. Salvo poi sentire il bisogno di riempire anche i più piccoli spazi di tempo libero in assenza dal lavoro, per non entrare in contatto con il deserto interiore e relazionale che si sono creati. Si affaccia così il fantasma, talvolta compulsivo, dell’accumulare esperienze o oggetti con l’inconsapevole convinzione che possano porre rimedio al vuoto esistenziale che attraversa anche vite considerate socialmente realizzate e appagate.

Così, l’individuo isolato trova consolazione nell’iperconnessione tecnologica che illude, pur nella chiusura relazionale e nell’aridità emotiva, di rimanere agganciati ad una porzione di mondo senza il rischio di esporsi. Questa tendenza, il più delle volte inconsapevole, cela una drammatica chiusura individuale che isterilisce l’esistenza impedendo ogni rapporto e ogni autentico dialogo con il proprio sé e con il mondo esterno. In questo senso, la dinamica inquietante dell’isolamento è paradossale poiché prolifera nella società della connessione agevole e dei contatti virtuali che nondimeno mascherano una condizione esistenziale segnata dalla paura, che diviene insicurezza, di confrontarsi con se stessi e di relazionarsi con l’altro da sé nel mondo reale.

L’isolamento, che come s’è detto non ha parentela con la solitudine, è una nuova, difficile, condizione esistenziale. Una realtà complessa che va analizzata e compresa con attenzione e in profondità perché inibendo la dimensione generativa della vita ostacola la possibilità di individuare e realizzare percorsi di senso.

 

Articolo pubblicato sul settimanale L’Azione giovedì 18 aprile 2024.

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