Cominciamo dall’ascolto: nutrimento per se stessi e per le relazioni

Il tempo presente è sommerso da un travolgente flusso di parole inflazionate che permeano le nostre giornate e insidiano ogni alveo della nostra interiorità. La contemporaneità sembra aver dimenticato che non può darsi alcuna parola ricca di significato senza ascolto. Di fatto, se comunicare significa mettere in comune qualcosa che abbia significato e valore questo non è possibile se non ci si educa all’ascolto. Tale vuoto educativo diviene una carenza relazionale che si tramuta a sua volta in un orizzonte sociale costituito sempre più da individui isolati, chiusi ermeticamente in un deserto emotivo che rende incapaci di sentire l’altro e farsene prossimi.

La comunicazione non è riducibile ad un semplice traffico di informazioni ma è relazione viva fra esseri umani che, capaci di ascoltare se stessi, sono così capaci di fare spazio all’altro, di entrare in relazione empatica con i significati cognitivi ed emotivi che i silenzi e le parole dell’altro portano con sé. Pertanto, comunicare è anzitutto arte dell’ascolto, via regia per costruire relazioni profonde e nutrienti. Ascoltare è dunque un paziente esercizio personale che oltre a farci crescere individualmente arricchisce lo spettro delle nostre capacità relazionali tessendo la trama e l’ordito della solidarietà umana.

La parola rivela la sua complessità semantica solamente se trova spazio di accoglienza in un ascolto autentico. E il modo in cui ascoltiamo segnala il nostro livello di intelligenza, nel senso etimologico del termine, che rinvia alla capacità di leggere dentro e in profondità (intus-legere) tra le pieghe e le piaghe dell’esistenza. Porsi in ascolto è un atteggiamento interiore che consente all’altro di aprirsi, di esprimersi, di trovare un’opportunità di condivisione dei propri camaleontici vissuti interiori. Solo dopo avere ascoltato con gentilezza e sincera attenzione possiamo attingere dalle nostre sorgenti interiori parole che comunichino all’altro comprensione e riconoscimento. Espressioni che non feriscano la persona che abbiamo davanti ma che costruiscano ponti di umana comprensione. Parole che riconoscano le fatiche e le risorse sempre presenti, che accendano luci di speranza anche qualora la persona sia immersa nelle difficoltà dell’esistenza e nelle notti dell’anima.

L’ascolto richiede altresì impegno, sensibilità, empatia e attenzione. Quest’ultima ci invita a sostare nel momento presente e si rivela nella capacità di rendersi partecipi di quanto l’altro ci sta comunicando non solo con le parole, ma pure con il linguaggio del corpo. L’attenzione ci rende disponibili ad entrare attivamente in risonanza interiore con l’altro da sé. Ci aiuta inoltre a cogliere negli sguardi importanti significazioni umane, psicologiche e spirituali. La speranza che emerge da un volto solcato dalle lacrime, un sorriso abbozzato che valica la timidezza, un ghigno di rabbia che esprime la volontà di cambiamento, un’espressione di gioia negli occhi che brillano. L’attenzione – che Simone Weil diceva essere “la forma più rara e più pura di generosità” – permette di essere presenti a se stessi nel qui e ora, consapevoli dell’attimo che altrimenti ci sfugge di continuo e quindi più disponibili all’ascolto del proprio e dell’altrui respiro interiore.

L’ascolto attento ci permette di entrare in comunione con l’altro ed è il fondamento per accoglierlo e riconoscerlo nella sua costitutiva fragilità. A sua volta l’ascolto consente di custodire il mistero del silenzio che talvolta accompagna le relazioni, aiutandoci a sintonizzarci con chi ci sta accanto. Per realizzare questo è però necessario mettere tra parentesi il rumore di fondo che ingombra e disturba le nostre esistenze. In un’epoca satura di parole, se vogliamo salvaguardare la relazione autentica e genuina fra esseri umani, è quanto mai necessario rieducarsi senza fine all’arte di ascoltare. È nell’ascolto, infatti, che sono presenti i presupposti per ogni relazione che voglia definirsi umana, rispettosa, capace di cogliere scintille di forza che brillano tra le fessure della fragilità che ci caratterizza. Questo può avverarsi se viviamo il tempo dell’incontro come opportunità per conoscere non solo l’altro ma pure noi stessi, la nostra essenza che mai si dischiude totalmente poiché celata fra il dicibile e l’indicibile, fra il visibile e l’invisibile. Dimensioni che solo un ascolto educato e gentile è capace di accogliere e riconoscere.

 

Articolo pubblicato dal settimanale L’Azione in data 11 novembre 2021.

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