Riprendersi il futuro attraverso la speranza

La nostra epoca è marchiata da difficoltà economiche, politiche, sociali e culturali amplificate nell’ultimo biennio dall’emergenza pandemica e dai drammatici eventi bellici che coinvolgono l’Ucraina e conseguentemente l’intera Europa. Avvenimenti che abbattendosi sulle nostre esistenze ne sconvolgono l’ordinarietà accrescendo quella sensazione di incertezza e precarietà che già da tempo ci accompagnava.

Dolore, malattia, morte, instabilità professionale sono i colori di una tavolozza con la quale, in questi ultimi due anni, è venuto dipingendosi il nostro orizzonte. In un simile scenario a imporsi sono fatiche e difficoltà a causa delle quali le nostre esistenze spesso si trascinano con rassegnazione confitte in un presente sterile e privo di slanci propositivi e fiduciosi verso il futuro. Quest’ultimo, un tempo concepito come una promessa da inseguire e realizzare, viene oggi percepito come una minaccia. Sensazione prevalente fra i giovani che più di tutti patiscono l’onda di un presente che non li convoca e di un futuro che non li motiva.

La percezione di un presente precario e di un avvenire che lascia presagire solamente eventi negativi genera un’apatia esistenziale dalle drammatiche conseguenze psicologiche: angoscia, disperazione, depressione, ritiro sociale, violenza rivolta verso se stessi o contro gli altri. Manifestazioni umane che segnalano un disagio diffuso che va ascoltato e che invoca risposte capaci di riattivare la fiducia in se stessi e nella vita.

Di fatto, lo smarrimento della visione del futuro fa precipitare le esistenze nel baratro del vuoto interiore. Questo perché, se come aveva sostenuto Martin Heidegger, l’essere umano è un essere progettuale, il venir meno di tale possibilità, contrasta una delle propensioni più autentiche e genuine dell’individuo. Lo aveva acutamente intuito anche lo psichiatra e filosofo Viktor Frankl asserendo che l’essere umano “può esistere solo nella visuale del futuro”, sottolineando l’importanza per la salute interiore di mantenere un’apertura concreta sull’avvenire affinché l’esistenza non appassisca e si possa rimanere in contatto con la dimensione generativa della vita, nonostante tutto. Da qui, l’importanza essenziale di continuare a visualizzare compiti e valori da realizzare nel futuro per affrontare e superare anche le più tragiche e sfavorevoli circostanze senza lasciarsi andare, sollecitando la forza interiore. Quella “forza di reazione dello spirito” che consente di continuare a vivere per qualcosa che attende di essere da noi conseguito, vissuto o di qualcuno che attende di essere da noi incontrato e amato.

Rilevare la mancanza di prospettiva verso il futuro che solca le esistenze di buona parte degli abitatori di questo tempo, conduce a individuare come questa tendenza sia a propria volta alimentata da un notevole difetto di speranza. Una virtù pratica quest’ultima, affatto illusoria, ma capace di alimentare la forza del cambiamento, della resistenza, dell’impegno, risorse indispensabili per squarciare il velo grigio che sembra essere calato sulle nostre affaticate esistenze che si trascinano senza intravedere la possibilità di nuove rinascite.

In quest’epoca, legittimamente così stanca e così rassegnata, comprensibilmente così impaurita e disincantata, può essere quanto mai utile recuperare il valore intrinseco della speranza, riconoscendo la sua capacità di mantenere “viva” la vita. La speranza, lungi dal limitarsi al solo foro interiore riverbera la sua luce anche all’esterno e proprio per questo viene ad assumere un’importanza non solo individuale ma pure interpersonale e pertanto collettiva.

In un tempo in cui le esistenze sembrano raggrumarsi in uno sterile qui e ora e la vita appare in balia di un vuoto abissale è quanto mai importante riportare l’attenzione sulla speranza – definita da Kierkegaard “passione del possibile” -, l’unica virtù che può trasformare le ferite in feritoie dalle quali può entrare la luce di nuove prospettive future che inondino di senso la vita, anche quando le tenebre scendono su di noi.

La speranza riesce a intravedere i bagliori del futuro ed è in questo senso antidoto contro ogni disperazione. Nondimeno va considerato che la speranza è una virtù molto fragile che non è mai messa in salvo una volta per tutte ma è sempre esposta al suo naufragio. Per questo è necessario coltivarla in noi e educarci a scorgerla sempre nelle persone che incontriamo, anche nell’interiorità ferita e fra le espressioni segnate dal pianto che invocano conforto e ambiscono al cambiamento. Per tutti questi motivi è essenziale non far morire in noi la speranza, che ci è data – come ha magistralmente insegnato Walter Benjamin – soltanto per chi non ne ha più.

Articolo pubblicato in data 14 aprile 2022 sul settimanale L’Azione.

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